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La disinformazione. Per un’ontologia catanese

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pupi

di Pierandrea Amato

Parte prima: chi è l’attore?

Un regista francese, con un forte legame con l’Italia, dove ha girato alcuni dei suoi lavori, qualche anno fa decide di realizzare un film in Sicilia. Il regista, per realizzare il suo progetto, invita a un incontro un professore di filosofia perché un suo lavoro potrebbe incrociare il soggetto del film. La promessa di questo primo incontro, preceduto da una scarna e-mail, mette a disagio il professore; almeno, quanto la prima impressione di fronte a un disegno che unisce i Pupi e il cinema francese (forse, da sciocco, temeva una versione del grand Tour fuori tempo massimo).

Si vedono all’aeroporto di Catania. Diversamente da come il professore prevedeva, le cose, in realtà, vanno come dovevano andare: discutono, provano a capire, a capirsi, si trovano (si ritrovano?). Condividono idee, impressioni, distanze: la politica, Berlusconi, ma soprattutto parlano di ciò che più sfugge: la Sicilia. Un luogo, pensano, dove tornano, ritornano ripetutamente, ma ogni volta sembra la prima volta. Questa estraneità li fa sentire curiosamente a casa. Senza alcuna fondata motivazione narrativa, visiva, economica, poetica, il regista, forse come omaggio alla partecipazione invisibile del professore nel suo film, alla loro possibile amicizia, decide di girare una sequenza del film – l’ultima in ordine di tempo – nella quale ricostruisce il loro incontro.

Il professore è oramai coinvolto nel progetto.

Vede il film. È un esperimento arduo. Una favola, forse. Si dice che almeno in Sicilia dovrebbero adottare questo progetto. Ovviamente non va in questo modo. Si vede soltanto a Palermo grazie alla determinazione di un giovane direttore di un Festival cinematografico. Da Catania, però, contattano la produzione francese del film, e invitano il professore a presentare il lavoro del regista francese.

Parte seconda: il doppio

«Che ci fai qui?». 28 novembre 2014. Palermo. Il professore ricordava questa antica conoscenza, sempre lui, quello che ha organizzato la prima visione di Orlando ferito in Sicilia, come una persona ospitale ma soprattutto cortese. «Che ci fai qui? E poi a quest’ora di sera: sono da poco passate le sette». Il professore balbetta: «Ho partecipato a un incontro e poi sono passato ai Cantieri per ascoltare…».

L’altro sorride: «Non ti sei accorto che dal maggio scorso, ogni sera a Catania, per giunta in anteprima, presenti l’Orlando ferito». «In anteprima? Lo dovevi dire; lo devi dire: almeno in Sicilia si è già visto a Palermo, in Italia a Roma. Forse intendono anteprima per Catania?».

Repubblica; sezione Palermo. Elenco dei cinematografi (tutti quelli della Sicilia entrano in una pagina): Cineteatro Francesco Alliata. Anteprima Orlando Ferito, presentazione del film a cura del prof. V.O. sottotit. italiano. Ore 19.30. 4 euro.

La notizia la si può leggere anche oggi: 16 dicembre 2014. Ogni giorno la stessa informazione: Cineteatro Francesco Alliata. Anteprima Orlando Ferito, presentazione del film a cura del prof. V.O. sottotit. italiano. Ore 19.30. 4 euro.

Divertente? La cosa forse non fa ridere il professore. Letteratura e cinema, arte alta e popolare, sono piene di trame di sdoppiamenti, doppie vite, fantasmi. Storie di vite non vissute eppure testimoniabili a partire da un’emorragia temporale.

Il professore prova un po’ di pena per il candore di questo eterno ritorno del diverso, nel quale, il suo doppio catanese, ogni sera si presenta diligentemente al suo posto; al cinema Alliata, a introdurre il film del regista francese. Ogni sera, anche con il caldo asfissiante d’agosto, con la luce ancora piena dell’estate, o in questi giorni prenatalizi; con l’umido, le luci fioche, il loro colore arancione metallico, il fantasma catanese pretende di parlare di cinema, di politica, della Sicilia. Ostinato a ripetere l’irripetibile: un’anteprima. Fa tenerezza. Il professore prova invidia verso la sua differenza catanese: ammira la sua costanza, solidità, perseveranza. Lui non diserta: la Repubblica ordina e lui risponde presente. Eppure è irritante: come se delegare al proprio doppio, impigliato a Catania, chissà per quanto tempo ancora, il dolore di un impegno, segnalasse una più ampia e indecifrabile deficienza verso tutti gli obblighi presi e fatalmente, inconsciamente persino, trascurati.

Se lui, l’ostinato cittadino di Catania, è persona seria, il professore no. Da quasi sette mesi, non va a un appuntamento che il giornale garantisce. Viene chiaramente meno a un impegno pubblico cui, capite bene, la REPUBBLICA (si può davvero pensare che si tratta solo di un giornale?), indifferente allo scorrere del tempo, si impone tutti i giorni.

Se il fantasma non manca mai di essere presente, l’incontro palermitano lascia vedere al professore una sconfinata irresponsabilità; l’indefinita mancanza per cui ogni giorno manchiamo un appuntamento – con chi? Dove? Quando? – che neanche sapevamo di avere contratto. Eppure manchiamo. Però: sarebbe più attraente avere un doppio più irrisolto; questo catanese è troppo ordinato, definito, la sua differenza si consuma tutta in un’identità assoluta. Fatale: il doppio, è un rovescio. Ma non è troppo ovvio? Dove sarebbe la sua doppiezza se si risolvesse soltanto in uno specchio?

Ma non è ancora tutto: la stringa di Repubblica provoca nel professore un leggero senso di colpa nei confronti di uno sconosciuto: Diavolo! Ci sarà pur stato qualcuno a Catania che in tutti questi mesi non dico volesse ascoltarlo ma almeno vedere il film –, sia pure una sola persona, una coppia, dei fans del regista, ragazzi appassionati di cinema, lettori di Repubblica, che ha espresso il desiderio di andare a vedere il film. Giunto all’Allata, trova il deserto: avrà chiesto spiegazioni. Si sarà domandato: almeno, il prof., dov’è? Almeno lui non può mancare; come può venire meno anche il presentatore. Che sia un professore fannullone? Quest’unico spettatore, ammettiamo, che so, il 17 agosto, decide, persino eroico, di andare al cinema e non trova nessuno. Se non l’altro dal professore tenacemente muto e invisibile. L’Allata, però, in teoria (in teoria o in pratica?) non ha una programmazione quotidiana; dunque, nessuno che può chiarire l’equivoco. Sarà poi ritornato, caparbio come il fantasma del professore, dopo la prima volta, lo spettatore solitario?

Il prof. inizia a pensare a questa sorta di eternità differita, differente e si vede catapultato in un’ontologia del sé non vissuta. Ben inteso, senza esagerare: un’ontologia regionale; o meglio: urbana, catanese. Il doppio ha preso dimora; non c’è verso di farlo traslocare. Fantasma sedentario. Ogni sera, da quasi sette mesi, si ostina a essere lì, con la sua assenza, a presentare un film che per quasi sette mesi nessuno può vedere perché non sarà proiettato. Però: “Lo ha detto la televisione”; “L’ho letto sul giornale”. La notizia di Repubblica è, a suo modo, vera. Non soltanto perché una semplice riflessione sull’autonomia ontologica della lingua senza referente esterno ci permette di dire che la Repubblica non mente (insisto: sarà poi semplicemente un quotidiano?); più banalmente ed empiricamente: chi può essere veramente certo, chi può garantire, leggendo il giornale la mattina, che effettivamente la sera, alle 19.30, a Catania, proprio quella sera, stasera ad esempio, non si proietti l’Orlando e quindi il prof., continuando a eludere l’appuntamento, con la stessa costanza con cui il suo doppio cartaceo è sempre presente con la sua assenza, non commetta un atto di scortesia intollerabile: non si prende neanche il disturbo di avvertire per la sua negligenza e indolenza. Come scusarsi; ma soprattutto: con chi? Forse con l’unico sempre presente: l’altro?

Questa vicenda consegna il professore all’isola; alla Sicilia vissuta da molti anni da eterno fuori sede. Come se l’essere fuori luogo tutti i giorni a Catania dal 21 maggio dovesse riparare a questa dislocazione; come se almeno il fantasma catanese, almeno lui, avesse trovato pace grazie a quell’appuntamento che non ammette deroghe, festività, eccezioni. Ma la Sicilia non è anche questo: un altrove permanente? Ma forse non è esattamente così: in Sicilia, le cose iniziano a diventare effettivamente complicate nel momento in cui sembrano diventare semplici.

Parte terza: l’anteprima

Gli ingredienti, come si dice, ci sarebbero tutti per un racconto. Abbiamo un protagonista introdotto nel variopinto mondo del cinema nel quale, però, è chiaramente un estraneo; abbiamo una drammaturgia collocata, a sua volta, tra la realtà e la finzione delle marionette; abbiamo il doppio, uno che visse non due ma molte volte; abbiamo un incontro rivelatore in grado di lasciarci vedere ciò che l’incauto ha tutti i giorni sotto gli occhi: un’altra vita che non sa, non può vedere. Ma soprattutto non manca né il mito né la pura astrazione concreta dell’arcano: la Sicilia.

Ma questo non è un racconto. È la vicenda, naturalmente, del professore Amato che incontra Vincent Dieutre, un regista francese che gira in Sicilia, l’Orlando ferito: Cineteatro Francesco Alliata. Anteprima Orlando Ferito, presentazione del film a cura del prof. Amato V.O. sottotit. italiano. Ore 19.30. 4 euro.

L’idea del film è di verificare, sulle tracce di un libro del filosofo francese, George Didi-Huberman, Come le lucciole (Francia, 2009; Italia, 2010), dedicato a una lettura del leggendario articolo di Pasolini del 1975 sulla scomparsa delle lucciole, se, invece, proprio in Sicilia, oggi, quando tutto sembra perduto, non sia possibile incrociare, ammorbidendo l’apocalissi pasoliniana, intermittenze, lampi, in grado di provocare l’occasione di “organizzare il pessimismo”. Il film è realizzato nell’arco di tre anni. Alcune interruzioni, tra una fase e l’altra delle riprese, sono lunghe. Ma probabilmente tutto ciò fa parte di quest’opera che si alimenta anche dei propri impedimenti, vicoli ciechi, assenze; tutto è sottoposto a sorprese, passi falsi, eventi imprevisti, nuove idee, ostruzioni, deragliamenti, intuizioni. Con lo stesso Dieutre, o meglio, il suo corpo, la Sicilia è il cuore del film: Palermo, Catania, la campagna attorno a Noto, Lampedusa. L’esplorazione della Sicilia e del libro di Didi-Huberman è infranta, alimentata, arricchita da un contro-canto drammaturgico di scene e dialoghi di Pupi allestito nel museo di Mimmo Cuticchio: Orlando, i suoi compagni, le disfatte. Il viaggio di Orlando, allo specchio di quello di Dieutre, diventa una meditazione politica, amara, sublime sul destino dell’Europa.

La sera dell’anteprima catanese, il 20 maggio, la proiezione di Orlando ferito non ci fu. Per una serie di problemi adesso irrilevanti, nessuno si presenta per vedere il film. In effetti, alle otto è chiaro che la proiezione salta per penuria incondizionata di materia prima: il pubblico. Non viene nessuno. A un certo punto ci sono solo il prof. Amato, e nessuno. Evidentemente una parte di me, quella meno disposta a tollerare defezioni, fallimenti, imbarazzi, a prendere le cose alla leggera, non ha assorbito questa delusione. E ha piantato le tende.

Tutta questa storia, persino commovente, restituisce una profonda fedeltà all’evento; in fondo, qualsiasi anteprima non può aver luogo; se avviene, si auto-inganna; si tradisce da sola. L’anteprima è un’origine infinita impossibile da abitare. Da quasi sette mesi, in realtà, non faccio altro che vivere la stessa anteprima dove il mio me catanese, alimentato dal desiderio di Repubblica che ci sia una première a ogni costo, e quello che ha preso le distanze da Catania, coincidono immancabilmente. Entrambi, infatti, non vivranno mai l’estasi che, bene o male, si sprigiona dopo la prima; è questa privazione che lega due personalità peraltro così diverse. Unite da una promessa impossibile: non abbandonare il luogo in cui non siamo mai stati. Prima della prima ci può essere solo la ripetizione; ossia la vita. Un’eterna ripetizione piena di diffrazioni. Quando finalmente la mia differenza catanese l’avrà fatta finita con la sua infinita anteprima, svanirà nel nulla; come a continuare Orlando. Lui, sì come una lucciola.


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